APEL E L'ETICA DELLA COMUNICAZIONE
Etica e macroetica della
responsabilità nella società contemporanea - parte I
Fonte: InStoria.it
Autore:
Guglielmo Montuori
Nell’opera Etica della Comunicazione del filosofo tedesco
Karl Otto Apel il tema etico viene affrontato dall’autore su
un piano pragmatico-trascendentale, in modo da legare
l’agire concreto dell’uomo a precisi fondamenti teoretici.
Fine primario del filosofo è dare una giustificazione
razionale al perché essere morali e al che cosa significhi
essere morali; questo implica l’individuazione di un
principio universale valido per tutti, il cui valore non è
solo astratto, dal momento che deve essere visto in
relazione alla storia, poiché collegato alla responsabilità
dell’agire dell’uomo che è sempre storico.
A detta di Apel, l’etica deve oggi affrontare una sfida
epocale legata allo sviluppo della scienza e della tecnica
ed al fatto che l’uomo ha superato l’ambito istintuale del
comportamento animale basato sul “circolo di
reazione/feedback cycle”, cioè stimolo/risposta.
Agli albori della civiltà, la perdita del prevalere
dell’istinto è stata compensata da teologie e religioni; ma
ben presto i conflitti testimoniati dalle opere epiche e
dalla tragedia greca ne hanno evidenziato i limiti.
Dopo il “periodo assiale” di cui parla Jaspers, periodo che
va dall’800 al 200 a.C., in cui si passa in Oriente ed in
Occidente da visioni mitiche a concezioni razionali, in
filosofia, ed anche in etica, si è attuato un balzo in
avanti nella riflessione sugli effetti delle azioni
collettive.
Nell’epoca contemporanea, poi, la spaccatura tra “mondo
d’osservazione” e “mondo d’incidenza”, cioè fra quanto
vediamo e gli effetti delle nostre azioni, è arrivata a
livelli mai visti prima: basti pensare alle bombe di
Hiroshima e di Nagasaki, cioè tra chi le ha progettate e chi
le ha sganciate sulle due città giapponesi; ed ancora a
quanto accade nel mondo della finanza internazionale con
l’anonimato delle transazioni finanziarie e le conseguenti
ricadute con gli effetti a cascata per popoli ed individui.
La questione, quindi, ormai si pone in termini di una
macroetica planetaria che coinvolga tutti, in quanto i
problemi non sono di sicuro risolvibili facendo riferimento
al singolo comportamento dell’individuo o di piccoli gruppi.
Il senso di impotenza dinanzi ai nuovi problemi derivanti
dalla responsabilità collettiva per le conseguenze delle
attività non individuali, la questione ecologica e il
generale problema dell’Oikos hanno fatto emergere la
drammaticità di tutto ciò in modo eclatante. L’azione sulla
natura da parte della scienza e della tecnica, che prima non
veniva considerata eticamente significativa, adesso comporta
problemi mai sperimentati prima, con una rilevanza anche in
sede etica.
Nello specifico il tema che si impone riguarda il rapporto
tra scienza della natura e tecnica da una parte, secondo
Weber “esente da valori” e quindi neutrale, e la
responsabilità etica.
Il rapporto tra essere e dover-essere, cioè tra razionalità
scientifica, neutrale rispetto ai valori, razionalità etica
ed affidabilità delle informazioni è ciò su cui innestare,
secondo Apel, l’etica del discorso, vale a dire una
comunicazione corretta di quanto avviene, un rapporto tra
individuo e collettività, una responsabilità del singolo.
Nella prospettiva della modernità risulta difficile
immaginare un’etica nell’epoca della scienza trionfante;
infatti, nella prima metà del XX secolo con il positivismo
scientistico e con il pensiero scientifico divenuto
fondamento del tutto, l’idea di una scienza neutrale
dominava non solo la riflessione della filosofia teoretica
ma anche le metateorie dell’economia e del diritto. In
questa maniera era facile confinare i valori e le norme
della morale nell’ambito dell’irrazionale e dei sentimenti;
questa sorta di dicotomia si ripropone nel pensiero
filosofico con l’esistenzialismo e con la visione scientista
prima citata.
A tutt’oggi questa “costellazione di complementarietà”, come
la chiama Apel, non è superata: così non si riesce a fondare
né un patto sociale simile a quello di cui parla Hobbes, né
una morale universalmente valida della cooperazione non
parassitaria nella soluzione dei problemi dell’umanità,
ovvero una morale della corresponsabilità per le conseguenze
delle attività collettive degli uomini. Oggi c’è un bisogno
assoluto di un argomento razionale che giustifichi perché il
singolo deve essere morale.
Ma preliminarmente Apel vuole fare riferimento al modo in
cui il dibattito etico si è articolato nella seconda metà
del XX secolo, dibattito al cui interno non ci si è fermati
alla costellazione di complementarietà tra positivismo
scientistico ed esistenzialismo, bensì si è assistito ad una
ripresa della “ragion pratica” kantiana, anche se non si è
giunti ad una macroetica della responsabilità, quindi
universalmente valida.
Al presente emerge l’orientamento neo-conservatore di
un’etica delle consuetudini, ovvero della frònesis entro
coordinate morali tramandate che non è sicuramente una
risposta all’esigenza di una nuova etica planetaria della
responsabilità. Neppure i nuovi approcci etici di Rawls e
Jonas, ad esempio, si fondano su un elemento razionale;
Rawls parla di “equità” fondata sul senso comune e Jonas
fonda l’etica della responsabilità sull’auto-affermazione
dell’Essere, quindi in chiave ontologico-metafisica, anche
se l’essere o la natura di cui parla non vengono intesi come
l’insieme dei fatti neutrali rispetto ai valori, come vuole
la filosofia moderna, bensì come qualcosa che è in sé scopo
a se stesso, dotato di intrinseco valore.
Per fondare un’etica del discorso, a detta di Apel, occorre
preliminarmente tenere conto dei seguenti elementi presenti
nella filosofia occidentale:
- l’anteporre il soggetto all’oggetto, cioè il solipsismo
metodico di cui parla Husserl;
- considerare il linguaggio come secondario rispetto al
pensiero;
- intendere la fondazione come derivazione o riflesso di una
coscienza;
- supporre che il concetto di razionalità abbia il suo
modello nella razionalità logico-matematica;
- ritenere che, nel caso dell’etica, o la fondazione
filosofica dovrebbe muovere da principi ideali, astraendo
dalla storia, oppure dovrebbe rinunciare a principi
universalmente validi.
Il primo e secondo elemento sono connessi poiché linguaggio
e comunicazione vengono intesi come mezzi per la fissazione
di conoscenze già acquisite; la razionalità della scienza è
così inconciliabile con la razionalità dell’etica, intesa
come non neutrale rispetto al valore.
Tuttavia, ci si rende conto che la conoscenza scientifica
presuppone una comunità linguistica e comunicativa, con la
relativa relazione interpersonale non neutrale.
Di conseguenza, la stessa scienza, definita e ritenuta
avalutativa, presuppone un’etica normativa come ha mostrato
per primo C.S. Peirce.
Apel in questo modo dimostra che all’obiettività della
scienza è complementare la validità intersoggettiva di norme
morali in una comunità.
Non si è certo arrivati così alla fondazione di un’etica
razionale, ma almeno ad un’etica della comunità degli
scienziati, fatto che implica il superamento del solipsismo
metodico di cui si parlava all’inizio.
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all'articolo originale:
http://www.instoria.it/home/etica_comunicazione_parte_I.htm
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